
Per anni il mantra è stato “digital first”. Brand nati online, cresciuti sui social e affermatisi grazie all’e-commerce sembravano destinati a vivere (e farci vivere) esclusivamente nel mondo virtuale.
Eppure, oggi, qualcosa sta cambiando: marchi come Amazon, Wayfair e persino Netflix stanno investendo in spazi fisici. Un ritorno alla realtà che non ha nulla di nostalgico, ma molto di strategico. Paradossalmente, sono proprio i nativi digitali, quelli che hanno costruito la loro identità su dati, algoritmi e interfacce, a essere oggi più affascinati dal potenziale esperienziale del mondo fisico.
Dopo anni passati a ottimizzare processi digitali e customer journey virtuali, questi brand stanno scoprendo che il contatto diretto con le persone può generare un valore emotivo e relazionale ben più profondo. In un mondo iperconnesso e sempre più standardizzato, ciò che è vissuto in prima persona acquista un valore differenziante. E sono proprio i brand nati nel digitale a guidare questa riscoperta del mondo reale.

Eurostar sceglie di comunicare in modo sorprendentemente semplice. In un’epoca dominata da immagini complesse e sovraccariche, la nuova campagna “Reasons to Eurostar” punta tutto sul potere evocativo delle illustrazioni essenziali, ricordando i vecchi manifesti pubblicitari del Novecento.
La collaborazione con Noma Bar, artista e illustratore di fama mondiale, nasce proprio da questa esigenza: riscoprire un linguaggio visivo diretto, pulito, ma ricco di significato. Le sue illustrazioni, basate sulla decodifica dello spazio positivo e negativo, svelano messaggi nascosti e sorprendenti, con un invito a guardare in modo più approfondito.
Eurostar racconta la sua storia con poesia visiva e senza rumore. Le immagini parlano da sole: nessun eccesso, solo forme, colori e concetti. Una scelta in perfetta sintonia con l’identità di Eurostar, che propone un modo di viaggiare più sostenibile, comodo e umano.
La campagna, sviluppata con adam&eveDDB, celebra così un ritorno alla comunicazione visiva autentica, quella dei manifesti che una volta tappezzavano stazioni e strade. E proprio lì torneranno: nei luoghi di passaggio, sui percorsi verso gli aeroporti, nei punti dove si sceglie come viaggiare.

Dopo oltre vent’anni, Amazon rinnova la sua identità visiva. Il gigante globale ha affidato allo studio creativo Koto un progetto di rebranding che è durato 18 mesi e ha coinvolto più di 50 sotto-brand in 15 mercati.
L’obiettivo? Superare la frammentazione causata dalla crescita vertiginosa dell’azienda e restituire un’esperienza di marca più coerente e riconoscibile.
Al centro del restyling, il celebre “sorriso” del logo è stato ridisegnato con curve più morbide, senza però snaturare l’icona originale. Anche il font cambia, migliorando leggibilità e coesione visiva su tutti i touchpoint, dal packaging agli schermi digitali. Ma è nella palette colori che il cambiamento si fa più evidente: il nuovo “Smile Orange” guida l’identità visiva, mentre ogni sotto-brand adotta tonalità distintive ma armonizzate: dal verde brillante di Fresh al turchese medico di One Medical, fino al blu digitale di Prime.
Più che ridefinirsi, Amazon sceglie di raccontarsi con maggiore chiarezza e coerenza, mostrando come ogni tappa del suo percorso abbia contribuito a plasmare la sua nuova immagine. Un’operazione visiva chirurgica e potente che non cambia ciò che Amazon è, ma semplicemente lo rende impossibile da ignorare.

Il recente volo suborbitale di Blue Origin con un equipaggio tutto femminile è stato presentato come un evento simbolico per il progresso dell’inclusione nello spazio. Tuttavia, la reazione mediatica ha evidenziato una frattura tra la narrazione promossa dall’azienda e la percezione pubblica, soprattutto sui social.
Molti utenti e commentatori hanno criticato l’operazione come una strategia di marketing travestita da conquista storica, sottolineando lo spreco economico e l’assenza di un reale impatto sul ruolo delle donne nella scienza e nella tecnologia.
La narrazione istituzionale, supportata da campagne mediatiche e contenuti promozionali, si è scontrata con una contro-narrazione ironica e indignata, che ha evidenziato il divario tra simbolo e sostanza. Il caso mostra come, in un’epoca iperconnessa, anche le iniziative dall’alto valore simbolico rischino di perdere credibilità se non accompagnate da coerenza, trasparenza e impatto reale.