Due Gran Prix di Cannes, uno nella categoria Design e uno nella Creative Business Transformation sono stati assegnati a McCann Worldgroup e Microsoft per il loro lavoro su “ADLaM”, la forma scritta della lingua Pulaar del popolo Fulani dell'Africa Occidentale.
Pulaar è parlato da oltre 60 milioni di persone, ma per la maggior parte della storia la lingua non ha avuto alfabeto. Desiderosi di preservare la loro lingua madre fin da bambini, nel 1990 i fratelli Barry crearono una prima versione di “ADLaM” in forma scritta a mano.
Rimaneva però la necessità di digitalizzare l'alfabeto in modo che potesse essere utilizzato per comunicare via mail e consentire alle persone Fulani di fare business, connettersi attraverso i social media e trovare informazioni nella propria lingua. Così Microsoft e McCann Worldgroup hanno creato un carattere tipografico digitalizzato, un aiuto importante per la conservazione di una cultura che altrimenti si sarebbe persa e un modo per promuovere l'alfabetizzazione in tutta l'Africa occidentale.
Dalla foto del papa con il Moncler allo scontro di boxe tra Elon Musk e Mark Zuckerberg, recentemente si è molto sentito parlare di deepfake. Tecniche d’inganno che diventano sempre più realistiche, eppure anche i sistemi per rilevarle stanno compiendo passi importanti verso un’attendibilità quasi totale.
Oggi, per esempio, c’è una nuova tecnologia di Intel, chiamata FakeCatcher, che identifica i video e le foto manipolate in tempo reale e con altissima precisione. Per raggiungere questo livello di attendibilità viene sfruttato un particolare punto di riferimento: l'osservazione del flusso sanguigno sui volti.
Si tratta di qualcosa di quasi invisibile all'occhio umano, ma che può essere percepito da questo strumento digitale che riconosce il cambiamento di colore all'interno dei pixel.
E se i cybercriminali utilizzassero un metodo per riprodurre in modo credibile anche il flusso sanguigno sui volti, ingannando anche questo nuovo sistema? Per il momento l’ipotesi risulta inverosimile perché troppo complessa, ma lo sviluppo tecnologico di deepfake e anti-deepfake procede in parallelo e ha in entrambi i casi interessi importanti. Un po’ come l’eterna lotta tra doping e antidoping, in cui uno combatte l’altro, ma allo stesso tempo lo nutre di nuove sofisticazioni tecnologiche possibili.
Lo sappiamo. Le donne hanno ancora a che fare con discriminazioni storiche e secoli di dominio maschile che non sono stati pienamente spiegati o rettificati. Eppure, da alcune ricerche sociologiche, sembra che anche gli uomini non se la passino troppo bene. I modelli passati di mascolinitĂ sono obsoleti e socialmente inaccettabili e quelli nuovi sono estremamente precari.
Qual è il ruolo degli uomini nel mondo moderno? Come stanno emotivamente? Come sono fisicamente? Anche i brand se lo domandano.
Gilette, brand che da sempre cerca di rappresentare l’uomo contemporaneo e i suoi valori, cerca di evolversi insieme al suo testimonial: l’uomo. Dopo decenni di pubblicità che associava il vero uomo a un uomo che non deve chiedere mai, nel 2019 lancia la campagna “We believe: The best a man can be” con la missione di superare gli stereotipi e le aspettative di ciò che significa essere un uomo.
Questa volta Gillette parla di bullismo, di disparità tra sessi, di una società in cui gli uomini devono rimettersi completamente in discussione. Tutto molto corretto e coraggioso, sulla carta. Perché la reazione sui social è stata prevalentemente negativa, con un numero di dislike che ha raddoppiato i like.
Oggi il brand si distacca dalla polemica e si fa promotore di una comunicazione molto più leggera. “Shave like a bomber”, una line che strappa un sorriso senza schierarsi. Forse perché in questo tentativo di trovare una nuova identità maschile costruendo una nuova virilità più etica, c’è ancora tanto irrisolto e tanta fragilità . Molti brand preferiscono riferirsi a “consumatori in evoluzione”, lasciando le possibili definizioni e identificazioni di genere a tempi di pace.
“Be somewhere else” è stato l’ultimo post pubblicato su IG da Lush prima di abbandonare definitivamente i social. Nello stesso periodo Gucci ha promosso GucciVault su Discord, la piattaforma statunitense per la messaggistica istantanea e l’interazione tra community.
Quelle di Lush e di GucciVault sono due modi diversi per andare nella stessa direzione: allontanarsi dai social network piĂą generalisti, traslocando altrove. Un fenomeno che da quel momento ha portato molti brand a mettersi in discussione, domandandosi come e dove essere presenti nel mondo dei social.
Le ragioni dell’abbandono dei social storici da parte dei brand non sono poi così difficili da intuire e nel libro “Digital Marketing senza Meta” vengono riassunte in quattro punti.
1. Reach zero: il pubblico che desideri non è più su IG e FB. E se c’è, non lo raggiungi comunque.
2. Disturbing content: il contenuto su Facebook è spazzatura, su Instagram è pubblicità .
3. Account sospesi: le piattaforme fanno acqua e l’assistenza non funziona.
4. Metaperso: Zuckerberg non sta pensando alle piattaforme, ha altro in testa.